di Riccardo D’Anna
Gargoyle Books
pp. 186
€ 13,50
La (ri)nascita dell’horror italiano continua in maniera serrata, grazie soprattutto allo straordinario lavoro della casa editrice Gargoyle che, oltre a proporre un catalogo di mostri sacri della narrativa di genere, offre anche un interessante panorama di autori nostrani. L’ultimo tra questi è Riccardo D’Anna che col suo La figura di cera ha scritto un ideale seguito di Il morso sul collo di Simon Raven (sempre pubblicato dalla casa editrice romana), storia in cui i vampiri (per fortuna) si divertono ancora a fare i cattivi.
Il romanzo comincia esattamente da dove era finito il precedente e subito l’autore riesce in modo magistrale a farci calare nell’atmosfera di una Londra oscura, che di notte si trasforma, avvolta dalla nebbia, in una terra di nessuno in cui i protagonisti danno la caccia a una creatura soprannaturale, probabile responsabile di una serie di anomali suicidi. D’Anna però non si limita a farci respirare l’aria malsana della brughiera inglese e dello smog cittadino, ma si sposta per l’Europa (dall’Italia di una Venezia decadente ma sempre affascinante, alla Germania alle prese con un dopoguerra ancora pieno di dubbi).
La ricerca dei protagonisti, un gruppetto di amici alla Holmes e Watson, si segue con partecipazione e piacere di lettura, soprattutto perché l’azione viene messa in secondo piano per concentrarsi sui rapporti interpersonali tra i personaggi. La ricerca della famigerata figura di cera che da il titolo al libro è un espediente che l’autore utilizza per approfondire quelle che sono le dinamiche tra gli amici, ma riesce comunque a preservarci qualche bel pezzo al cardiopalma come la visita alla vecchia ambasciata italiana abbandonata di Berlino o la spettrale comparsa del “fantasma” della Marchesa Lucrezia d’Ateleta di Montevago nell’ufficio del povero Jean Mattern.
Come accennato sopra, il pregio principale di questo libro (circa 180 pagine) sta nell’affascinante atmosfera che l’autore riesce a creare pagina dopo pagina, dando più volte l’impressione di trovarsi davanti a un vecchio film in bianco e nero della Universal o a uno dei capolavori Hammer, penso soprattutto a La furia dei Baskerville del 1959 (D’Anna ambienta la sua storia soltanto un anno prima). Se dobbiamo, invece, parlare della scelta a tratti troppo didattica con cui l’autore affronta alcuni brani del romanzo (per questo sono presenti diverse note), dobbiamo farlo da un duplice punto di vista: da un lato può essere considerato un pregio perché dimostra il gran lavoro di ricerca fatto da D’Anna che in questi frangenti si trasforma quasi in uno storico; dall’altro potrebbe far perdere di vista al lettore il filo della storia, impegnato com’è ad approfondire le tante citazioni presenti.
Recensione pubblicata su www.horror.it
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