Un post di un contatto Facebook sulle sue trasposizioni
kinghiane preferite, mi ha spinto a riflettere su quali film tratti dai romanzi
di King mi sono piaciuti di più e a cui sono rimasto affezionato. Non mi ci è
voluto molto a stendere una mia classifica, perché in oltre quarant’anni di
vita, ne ho visti tanti di film tratti dai romanzi del Re, tutti rigorosamente
dopo aver letto il libro, ma, lo sappiamo (o almeno dovremmo saperlo), il
linguaggio scritto è molto diverso da quello filmico, può esserne solo un’ispirazione,
perché quando si prova a trasporre un libro parola per parola, fatto per fatto,
personaggio per personaggio, si finisce per partorire un’opera senz’anima,
calcata con la carta carbone e che finisce per tradire sia il libro che la
rilettura cinematografica. E di esempi, tornando in ambito kinghiano, ne
abbiamo almeno due, ovvero le mini-serie dedicata a “Shining” e quella tratta da
“L’ombra dello scorpione”, in cui il fedele Mick Garris ha provato a
rispettare, quasi con devozione, la materia kinghiana, ma ha finito per
deludere tutti.
Detto questo, quali sono i miei film kinghiani preferiti?
Ne ho scelto dieci, una classica “top ten” in cui ho inserito quelli che mi
hanno lasciato qualcosa o, più semplicemente, quelli che riguardo più volentieri
quando passano in tv.
1.
Stand by Me
2.
Il miglio verde
3.
Le ali della libertà
4.
Misery non deve morire
5.
Pet Sematary
6.
L’ultima eclissi
7.
Shining
8.
Carrie
9.
Secret Window
10.
1408
Al film di Rob Reiner sono legato in maniera viscerale, perché l’ho visto per la prima volta proprio alla stessa età dei protagonisti, per cui era come vivere una vita parallela e ancora oggi rappresenta un ricordo indelebile, un compagno di vita che mi fa rivivere tempi e, soprattutto, emozioni andate. I successivi due sono di Frank Darabont, l’unico, insieme proprio a Rob Reiner, a interpretare nel migliore dei modi i libri di King. Nessuno come loro è stato capace di portare sul grande schermo la “kinghianità” pura e nessuno, probabilmente, ne sarà più in grado. Con “Misery” torniamo a Reiner e alla sua straordinaria capacità di raccontare storie, interpretando la filosofia kinghiana, dando il giusto risalto ai dettagli migliori e più importanti.
“Pet Sematary” è il primo horror della lista, un altro libro a cui sono molto
legato e che Mary Lambert è riuscita a rileggere in maniera cinematografica,
riuscendo nel difficile compito di ricostruire, sul grande schermo, una delle
scene più insopportabili scritte da King in oltre cinquant’anni di libri: la morte
del piccolo Gage Creed. “L’ultima eclissi” è una sorta di “fuori onda”, una straordinaria
divagazione di Taylor Hackford su uno dei temi più cari a King, ovvero la violenza
sulle donne. È un film poetico e toccante che fa perno soprattutto sulle due
attrici protagoniste e che tocca corde profonde del nostro animo. Vederlo è
come galleggiare sopra le nuvole, con una vista appannata del mondo reale.
Nella
top ten non poteva mancare il capolavoro di Stanley Kubrick che, però, come lo
stesso King ha più volte, forse troppe volte, rimarcato, ha poco del senso e
del sentimento del libro. Kubrick, da cineasta puro qual era, ha utilizzato il
romanzo come semplice spunto per raccontare una storia epica che a distanza di
trent’anni rimane di un’attualità quasi disarmante. Diciamo che, nel suo lavoro
di stravolgimento e rielaborazione, è rimasto fedele al cinema, al suo
linguaggio e ai suoi tempi, più che al libro. Arrivando a “Carrie”, è passato
alla storia per essere il film di esordio di un giovane Brian de Palma, pieno di difetti, se vogliamo ancora acerbo, ma ricco,
invece, di animo kinghiano. Cinematograficamente, de Palma è stato capace di
trasformare in horror un romanzo che grondava drammaticità e che raccontava un
altro punto fermo della letteratura del Re, il passaggio dall’adolescenza all’età
adulta. Un cult, se vogliamo, che non può mancare in una degna classifica.
Infine, gli ultimi due film potrebbero far storcere il naso a parecchi, perché
passati nell’anonimato e mai considerati degne trasposizioni. Tuttavia, a mio
avviso ci troviamo di fronte a due piccoli (minuscoli?) “Shining”, ovvero film
che poco hanno a che fare con la fonte originale, ma che cinematograficamente
lasciano il segno. Sono deliranti, onirici, folli, dei veri concentrati di “non
sense”, nel bene e nel male.
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