Dopo la tappa italiana firmata da Tullio Avoledo, la casa editrice Multiplayer.it riporta l’universo letterario di Metro 2033 in patria, pubblicando Verso la luce di Andrey Dyakov, un romanzo ambientato a San Pietroburgo, città distrutta dall’esplosione della bomba atomica e dove i pochi sopravvissuti hanno trovato rifugio nelle gallerie della metropolitana.
Da qui un gruppo di stalkers (esploratori del mondo in superficie) partono per scoprire cosa si nasconde dietro un segnale luminoso avvistato a chilometri di distanza: una richiesta d’aiuto? Un segnale da parte di altri sopravvissuti?
Nonostante la rigida aderenza ai temi e ai personaggi creati da Dmitry Glukhovsky, ideatore della serie, il romanzo di Dyakov pecca di eccessiva staticità. Sembrerebbe un controsenso, visto che la storia si snoda attraverso il viaggio degli stalkers, eppure è così.
L’ispirazione dell’autore sembra infatti più legata al videogioco (tratto a sua volta dal romanzo di Glukhovsky) dove molte scene erano ambientate in superficie e caratterizzate dallo scontro tra i sopravvissuti e i vari mostri mutanti nati dopo il disastro atomico, che alla saga romanzata dove erano altri gli spunti per raccontare l’Apocalisse nucleare, risultando così ripetitiva e a tratti monotona.
Verso la luce risulta costruito per soddisfare unicamente il gusto di coloro che si divertono a giocare con gli sparatutto: il gruppo di esploratori viene così smantellato piano piano, man mano che il viaggio procede e la meta si avvicina, lasciando sullo sfondo l’unico tema davvero interessante del romanzo e vale a dire il rapporto tra il piccolo Gleb e il capo della spedizione Taran.
Sono loro, infatti, gli unici due personaggi degni di nota e capaci di creare interesse nel lettore, ma nella frenesia del romanzo interessato soltanto a impressionare con morti violente, creature mostruose e luoghi infestati da ogni tipo di schifezza, finiscono anche loro per andare in secondo piano.
Il loro rapporto tra allievo e maestro avrebbe meritato uno spazio ben diverso, e invece viene troppo spesso ridotto a delle prove di sopravvivenza a cui Taran sottopone Gleb.
Qualche sorpresa Dyakov ce la riserva nel finale, ricco di colpi di scena, ma ciò non basta per avvicinare il romanzo ai livelli sia di Glukhovsky che del nostro Avoledo, storie decisamente diverse rispetto a Verso la luce.
Lì siamo di fronte al vero racconto dell’Apocalisse atomica, con personaggi che stentavano a rimanere all’interno delle pagine scritte, qui ci troviamo davanti a un videogame d’azione in cui la narrazione è condannata a essere un semplice comprimario rispetto allo spettacolo ludico.
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