giovedì 11 agosto 2011

Mucchio d'ossa


Mucchio d’ossa
Stephen King
Sperling & Kupfer
pp. 640
€ 11,90

Gli anni a cavallo tra il vecchio e nuovo secolo hanno rappresentato per Stephen King un punto di svolta drammatico. Il 18 Giugno del 1999, infatti, la vita dello scrittore americano fu sconvolta da un terribile incidente (fu investito durante la sua giornaliera passeggiata a piedi) a causa del quale rischiò la vita rimanendo per diverso tempo su una sedia a rotelle.

Figli di questa sofferenza (l’autore venne sottoposto a ben sette interventi chirurgici) furono anni più tardi romanzi come La storia di Lisey, Duma Key e The Dome in cui King ci offrì la sua personale visione del percorso di sofferenza e del superamento del dolore, esattamente come dovette fare lui stesso dopo l’incidente. Ma ancora prima del tragico episodio, in modo quasi premonitorio, già in Mucchio d’ossa (1998) si vive quella straordinaria drammaticità, quella stessa quotidianità di cui sono permeati i romanzi sopra citati.  Oltre, infatti, ai “canonici” temi che hanno da sempre accompagnato King nella sua vita narrativa (la tensione e la verosimiglianza di storie e personaggi), in Mucchio d’ossa ci sono anche il dramma di un uomo distrutto dalla morte inaspettata della moglie incinta e la lotta disperata di una giovane madre contro la prepotenza del suocero che vorrebbe portarle via l’unica figlia.

In Mucchio d’ossa, il capolavoro di King sta nell’aver saputo mixare con maestria argomenti scottanti e attuali con quel pizzico di horror classico che, in questo caso, è espresso sì tramite la presenza di fantasmi, ma soprattutto attraverso la figura spettrale e malvagia del vecchio magnate Max Devore (personaggio che molto riporta al Randall Flagg de L’Ombra dello Scorpione e de Gli occhi del Drago). Ma come in tutti i libri dello scrittore americano, al Male si contrappone il Bene e in Mucchio d’ossa esso è rappresentato dallo scrittore in crisi Michael Noonan, il vero protagonista della storia… poi Mattie Devore e la piccola figlia Kyra, ma soprattutto il fantasma di Jo, la moglie deceduta di Michael che anche dopo la morte rimane vicina al proprio marito e lo aiuta a portare a compito la sua missione. Una missione che porterà il protagonista ad affrontare la sua stessa vita, il suo stesso destino attraverso la liberazione del paese e della sua residenza estiva dalla presenza malvagia e vendicativa dello spirito della cantante nera Sara Tidwell, violentata e uccisa in quei luoghi tanti anni prima. Portando a termine la propria missione, Michael non solo salverà la piccola Kyra destinata a essere l’ultima vittima della vendetta della Tidwell, ma salverà la sua stessa vita e il suo eterno legame con la moglie.

Chi leggerà o ha già letto questo libro non ricorderà di certo Max Devore, crudele suocero che vuole portare via la bambina a Mattie, o la sua spaventosa assistente, ma porterà per sempre nel cuore personaggi come la stessa Mattie Devore, la nuora “ribelle” del vecchio o la piccola Kyra (“reincarnazione” della figlioletta mai nata del protagonista) e qualche lacrima verrà probabilmente versata. Perché King ci fa vivere con loro, ci fa vedere tutto ciò che gli accade, e alla fine del romanzo ciò che rimarrà dentro non è la lotta tra i fantasmi, lo spaventoso temporale o la vecchia e spettrale figura di Max Devore seduto sulla sua sedia a rotelle con la sua mascherina per l’ossigeno tra le mani, ma l’amore di Mattie per sua figlia, l’amore di Jo per suo marito. Tutti argomenti che con la narrativa horror hanno avuto sempre poco a che fare.

Ancora una volta King dimostra di saper instillare nella narrativa classica quella dose di brivido tipica della letteratura horror, inserendo spettri, mostri e creature dell’al di là in un ambiente normale e quotidiano. Ecco così venire fuori la forza delle sue storie e dei suoi personaggi: persone normali e semplici, persone che vivono, soffrono e si disperano, ma che alla fine riescono sempre a trovare quell’essenza che sta dentro ognuno di noi, ma che in pochi riescono davvero a percepire e a capire.

Alla fine del romanzo King cita Thomas Hardy:  “ …Scrisse ancora in versi per altri vent’anni e quando qualcuno gli chiedeva perché avesse abbandonato la prosa rispondeva che non capiva lui stesso perché vi si fosse affannato per tanto tempo. Con il senno di poi gli sembrava stupido, diceva. Inutile“. È il brano più importante, perché in fondo, come diceva il saggio pistolero Roland di Gilead:"...tutti noi abbiamo un ka…e volenti o nolenti dobbiamo seguirlo”.


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