martedì 26 luglio 2011

Million Dollar Eastwood

San Francisco, 31 Maggio 1930. Da una famiglia protestante di origine europea nasce Clinton “Clint” Eastwood. Figlio di un operaio impiegato in una fabbrica di acciaio e di una casalinga, studia Scienze Economiche al Los Angeles College, ma poi abbandona gli studi per arruolarsi nella United States Army che lascerà dopo una brutta avventura a bordo di un aereo diretto alla base Fort Ord.

Dopo la vita militare, tenta altre strade (boscaiolo in una segheria, guardiano notturno, bagnino, conducente di camion, impiegato amministrativo, pianista e addirittura trombettista jazz) fino a quando nel 1954 si presenta alla Universal per un provino che gli vale il primo contratto di 75 dollari a settimana per 4 settimane. I film sono due cult della fantascienza di Serie B degli anni ’50, La vendetta del Mostro e Tarantuladi Jack Arnold, ma sarà soltanto dopo qualche anno che Eastwood scoprirà la sua passione per il genere western ottenendo il ruolo del cowboy Rowdy Yates nel telefilm Rawhide, andato in onda dal 1959 al 1966.

Gli anni ’60 sono quelli della “grande occasione”, grazie al regista italiano Sergio Leone che vedrà in quel volto duro e spigoloso l’attore ideale per i suoi spaghetti-western. Nel giro di tre anni, Eastwood interpreterà tre film [Per un pugno di dollari (1964), Per qualche dollaro in più (1965) e Il Buono, il Brutto e il Cattivo (1966)] che lo consacreranno come icona cinematografica e incarnazione del genere western. Il pistolero senza nome, il cowboy solitario e spietato, protagonista della “trilogia del dollaro” di Leone, è ancora oggi considerato il simbolo di quel fortunato periodo in cui l’Italia rilesse un genere classicamente americano, ma che da lì a poco avrebbe fatto la fortuna di un esercito di “cinematografari”.

Nonostante la sua partecipazione al primo film di Leone sia stata del tutto casuale (prima di lui erano stati contattati pezzi da novanta come Richard Harrison, Henry Fonda, James Coburn e Charles Bronson) e in parte dovuta al basso compenso (appena 15.000 dollari), Eastwood sembrò immediatamente perfetto per quel ruolo, come lo stesso Leone anni più tardi confessò: «Ciò che più di ogni altra cosa mi affascinò di Clint, era il modo in cui appariva e la sua indole. Nell’episodio Incident of the Black Sheep Clint non parlava molto… ma io notai il modo pigro e rilassato con cui arrivava e, senza sforzo, rubava a Eric Fleming tutte le scene. Quello che traspariva così chiaramente era la sua pigrizia. Quando lavoravamo insieme lui era come un serpente che passava tutto il tempo a schiacciare pisolini venti metri più in là, avvolto nelle sue spire, addormentato nel retro della macchina. Poi si srotolava, si stirava, si allungava… L’essenza del contrasto che lui era in grado di creare nasceva dalla somma di questo elemento con l’esplosione e la velocità dei colpi di pistola. Così ci costruimmo sopra tutto il suo personaggio, via via che si andava avanti, anche dal punto di vista fisico, facendogli crescere la barba e mettendogli in bocca il cigarillo che in realtà non fumava mai. Quando gli fu offerto il secondo film, Per qualche dollaro in più, mi disse: ”Leggerò il copione, verrò a fare il film, ma per favore ti imploro solo una cosa: non mi rimettere in bocca quel sigaro!” E io gli risposi: ”Clint, non possiamo tagliare fuori il sigaro. È il protagonista!”»1

Considerati all’epoca i western più violenti che si fossero mai visti, come il critico Tullio Kezich fece notare nella sua recensione per Il Corriere della Sera: «Niente da dire: il film è realizzato con competenza, il paesaggio spagnolo non è diverso da quello del New Mexico, gli effetti non hanno nulla da invidiare a quelli degli specialisti hollywoodiani. C’è tuttavia nel film qualcosa di eccessivo, che denuncia la mancata appartenenza al filone originario. Abbiamo visto western violenti di marca americana, ma in Per un pugno di dollari si esagera: stragi salgariane, torture sadiche, sangue che imbratta tutto il film. E nessun legame, ormai, con i miti della giustizia, della fantasia e della libertà.»2, i film della “trilogia del dollaro” rappresentarono il trampolino di lancio per Clint Eastwood che, nonostante la notorietà raggiunta, cercò subito di non farsi imprigionare nello stereotipo del “duro”, accettando di interpretare ruoli diversi.

Già nel 1967 in Le Streghe (1967), film a episodi di cinque registi italiani tra cui Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini e Vittorio De Sica, è un marito noioso alle prese con una moglie insoddisfatta (Silvana Mangano), mentre un anno più tardi recita in L’uomo dalla cravatta di cuoio di Don Siegel (un altro regista che avrebbe influenzato positivamente la sua carriera), via di mezzo tra western e moderno poliziesco riscritto otto volte e destinato originariamente a un altro regista. In quello stesso anno Eastwood torna però al western classico con Impiccalo più in alto di Ted Post (l’attore ne supervisionò regia e sceneggiatura), considerato a torto una banale costola dello spaghetti-western, ma in realtà anticipatore di alcuni dei temi cari a Eastwood come lo scontro legge-giustizia e la condanna della pena di morte.

Sempre più deciso a differenziare la sua carriera, lasciandosi alle spalle l’etichetta di pistolero, Clint Eastwood continuò ad accettare film in cui poteva dar libero sfogo alle proprie capacità attoriali, recitando inDove osano le aquile (1968) di Brian G. Hutton, storia di un manipolo di paracadutisti che liberano un generale americano in mano ai nazisti, in cui l’attore è il Tenente Morris Schaffer; La ballata della città senza nome (1969) di Joshua Logan, un musical-western considerato un flop storico; Gli avvoltoi hanno fame (1969) di Don Siegel in cui il western prende una pausa per diventare commedia; e I guerrieri(1970) ancora di Brian G. Hutton in cui Eastwood veste di nuovo i panni di un soldato che, dopo lo sbarco in Normandia, entra in territorio nemico col suo plotone per svaligiare una banca. Tutti film in cui l’attore dimostrò di riuscire a dare sfaccettature diverse ai suoi personaggi, anche quelli meno credibili, come nel caso del film di Logan.

Gli anni ’70 si aprono con la prima esperienza di Clint Eastwood dietro la macchina da presa nel film Brivido nella notte (1971), anticipatore dei temi poi trattati in Attrazione Fatale dove l’attore è un disc-jockey che dopo essersi portato a letto una fan, si trova a essere da lei perseguitato. Nel frattempo, il sodalizio con Don Siegel va facendosi sempre più stretto e così in quello stesso anno Eastwood gira Ispettore Callaghan: Il caso Scorpio è tuo!, primo film di una serie che lo avrebbe reso celebre al pubblico di tutto il mondo, e La notte brava del soldato Jonathan, un disastro al botteghino ma considerato un vero cult dagli amanti del duo.

Il duro e violento Ispettore Callaghan impegnato in una metropoli in mano al crimine è il personaggio che forse più di tutti è legato al volto dell’attore che continuerà a interpretarlo per altre quattro volte (Una 44 Magnum per l’Ispettore Callaghan del 1974, Cielo di piombo, Ispettore Callaghan del 1976, Coraggio…fatti ammazzare del 1983 e Scommessa con la morte del 1988) . La saga, rilettura action del classico hard boiled, suscitò fin dall’inizio molte polemiche a causa dell’uso a tratti spropositato della violenza e di questa nuova e sconvolgente figura del poliziotto che fa un uso spavaldo della pistola (la terribile 44 Magnum) e che uccide e butta via il distintivo, nella sola e unica ricerca di vendetta.
Il viaggio nei generi cinematografici di Clint Eastwood prosegue nel 1972 con Joe Kidd, un film d’avventura in cui l’attore è prima cacciatore e poi “compare” di un contadino divenuto fuorilegge. Nel 1973 Eastwood firma la sua terza regia con Lo straniero senza nome, in cui l’attore ripercorre i western di Leone interpretando un pistolero che difende un piccolo paese dalle violenze di un gruppo di banditi. Un anno più tardi arriva la collaborazione con Michael Cimino (esordiente) in Una calibro 20 per lo specialista, in cui, a fianco di Jeff Bridges, Eastwood interpreta un buon film d’azione incentrato sull’amicizia.

La carriera registica di Clint Eastwood prosegue nel 1975 con Assassinio sull’Eiger in cui è un agente della CIA dalla doppia vita che cerca di vendicare un collega morto cercando e punendo i responsabili: due li becca subito, per il terzo sarà costretto a scalare le Alpi svizzere. Sicuramente una delle sue prove più incolore come regista. Un anno più tardi ci riprova con Il texano dagli occhi di ghiaccio, violento western ambientato nell’America della Guerra di Secessione che vede Eastwood ancora una volta nei panni del vendicatore, nello specifico un contadino che dopo aver assistito all’uccisione di moglie e figlio da parte dei nordisti, si arruola nelle fila sudiste per dare la caccia ai responsabili. Il suo sarà un viaggio iniziatico che lo porterà, attraverso la violenza, a trovare una nuova famiglia. Nel 1977 è ancora una volta dietro la macchina da presa in L’uomo nel mirino, storia di un poliziotto che deve scortare una prostituta, testimone a un importante processo, in un viaggio irto di pericoli. Tratto da un libro di Michael Butler e Dennis Shyack, si rivela essere un buon giallo dal ritmo incalzante e con un Eastwood in gran forma. Nel 1978 l’attore torna alla commedia con Filo da torcere di James Fargo in cui interpreta un camionista proprietario di un simpatico orango impegnato nel corteggiamento di una bella cantante.

Il 1979 vede Eastwood tornare a collaborare con Don Siegel per uno dei suoi migliori film, Fuga da Alcatraz, ancora oggi un pilastro del genere carcerario, che vede l’attore nei panni di Frank Morris, specialista di fughe che finito ad Alcatraz riesce a organizzare una spettacolare fuga anche da lì. Uno dei migliori, se non il migliore, film della coppia Siegel-Eastwood in cui la violenza diventa solo un contorno a una storia in cui la suspence e la tensione prendono decisamente il sopravvento, il film può essere visto come una sorta di rovescio della medaglia della serie sull’Ispettore Callaghan: se da un lato, infatti, in Ispettore Callaghan: Il caso Scorpio è tuo! si faceva riferimento e addirittura si dedicava il film agli agenti morti nel compimento del loro dovere, in Fuga da Alcatraz la dedica è per tutte le vittime del sistema carcerario americano fino a qualche anno fa rappresentato proprio dal carcere bunker in mezzo al mare.
Gli anni ’80 si aprono col ritorno al western, stavolta riletto in chiave moderna, nel film Bronco Billy in cui Eastwood è sia regista che protagonista nel ruolo di uno scalcinato pistolero circense che tiene in vita il circo con le proprie spericolate esibizioni. Superba la sua interpretazione ispirata alle avventure di Buffalo Bill. Un anno più tardi Eastwood recita in Fai come ti pare di Buddy Van Horn dove per la prima volta si tratta il tema del pugilato (che successivamente gli avrebbe regalato grandi soddisfazioni) e in cui l’attore è un meccanico che torna sul ring per ritrovare l’amore perduto. Nel 1982 Eastwood torna dietro la macchina da presa per la spy story Firefox – Volpe di fuoco in cui è un pilota di jet in congedo a cui viene affidata la missione di rubare un aereo da guerra sovietico. A metà tra un film alla James Bond e un’action movie ne esce fuori un’abbastanza deludente pellicola di fantapolitica. In quello stesso anno Eastwood è un cantante country che viaggia a bordo di una Lincoln decappottabile verso un provino al Grand Ole Opry nel  road movie Honkytonk Man. In compagnia del nonno e di un nipotino ci sarà spazio per un apprezzabile mix di commedia e melodramma.

Dopo il penultimo capitolo dell’Ispettore Callaghan (Coraggio…fatti ammazzare), nel 1984 Eastwood è protagonista ancora di una commedia in Per favore… non salvarmi più la vita di Richard Benjamin in cui l’attore recita a fianco di Burt Reynolds. Ideato come parodia dei classici polizieschi degli anni ’30, la storia, ma soprattutto l’interpretazione dei due, non risultano all’altezza. Nello stesso anno esce nelle sale cinematografiche Corda Tesa diretto da Richard Tuggle, già sceneggiatore di Fuga da Alcatraz, in cui il personaggio del poliziotto che scopre di avere istinti non proprio sani sembra capovolgere lo stereotipo a cui ci aveva abituato Eastwood che si presenta come un uomo malato e ambiguo. Puntuale come un orologio svizzero, nel 1985 ecco il nuovo western: Il Cavaliere Pallido in cui Eastwood è Il Predicatore, un misterioso uomo venuto dal nulla che aiuterà un gruppo di poveri cercatori d’oro a difendersi dalle prepotenze di un ricco uomo d’affari. Un anno più tardi è la volta del militaresco Gunny in cui Eastwood è un sergente di ferro che addestra con modi rudi e sbrigativi un plotone di marines destinati a sbarcare sull’isola di Grenada.

Dopo un pausa di un paio d’anni, Eastwood decide di battere nuove strade alla ricerca di innovative ispirazioni e “debutta” nel campo delle biografie con Bird (1988), storia del sassofonista jazz Charlie “Bird” Parker, in cui l’attore e regista sintetizza la vita sbandata e spericolata dell’artista morto a soli 35 anni. Cupo, scuro e piovoso con un susseguirsi di flashback che ci portano avanti e indietro nel tempo, il film vinse l’Oscar per il miglior sonoro. Dopo aver concluso le avventure dell’Ispettore Callaghan con Scommessa con la morte (1988), Eastwood fa nuovamente una puntata nella commedia con Pink Cadillac di Buddy Van Horn dove è un cacciatore di taglie che aiuta una amica a ritrovare il figlioletto rapito.

Gli anni ’90 si aprono con un’altra biografia romanzata in Cacciatore Bianco, Cuore Nero, ispirato alla lavorazione del film La Regina d’Africa (1951) di John Huston in cui il regista e attore si ispira chiaramente al Moby Dick di Melville, solo che stavolta l’ossessione dell’uomo è un elefante. In quello stesso anno confeziona (ne è produttore, regista e attore) l’action movie La Recluta in cui, in coppia con Charlie Sheen, reinterpreta il tema del veterano vs matricola in una pellicola sorprendente per cura dei dettagli e spettacolarità.

Ma è  il 1992 a regalarci un nuovo capolavoro e non a caso si tratta di un western: Gli Spietati, ancora oggi considerato uno dei migliori della storia del cinema, è un film che pone l’attenzione sul rapporto tra la violenza e la società americana che da sempre, fin dai tempi dei pionieri appunto, sembra aver fatto leva su di essa per stabilire uno status quo. Eastwood è un vecchio ex pistolero che, insieme a un gruppo di amici, è impegnato nella caccia di due uomini che hanno sfregiato una prostituta. Diretto dallo stesso Eastwood, il film ha vinto ben quattro Oscar, tra cui miglior film e miglior regia. Impreziosito da un cast stellare di “grandi vecchi” (Morgan Freeman, Gene Hackman e Richard Harris) il film è dedicato“a Sergio e Don”, i due registi che lo avevano lanciato nel mondo del cinema. Un anno più tardi Eastwood torna all’action movie con Nel centro del mirino in cui è un anziano agente dei servizi segreti che vive tormentato dai sensi di colpa per non essere riuscito a salvare il Presidente John Kennedy trent’anni prima. Ma come si dice, a tutti viene concessa una seconda chance, e così Frank Horrigan si troverà a dover fronteggiare un maniaco che vorrebbe uccidere il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Straordinario il dualismo tra Clint Eastwood e John Malkovich (nei panni del folle) che può essere visto anche come confronto-scontro tra due mondi cinematografici: quello degli attori (Eastwood) e quello delle stars (Malkovich). Nello stesso anno l’attore-regista gira Un mondo perfetto, thriller con protagonista Kevin Costner nei panni di un evaso che cerca una disperata fuga prendendo in ostaggio un bambino. Insieme a Gli Spietati, questo è il film che probabilmente analizza con maggior ferocia la società americana, la violenza su cui è basata e i continui paradossi che la contraddistinguono. Ottima l’interpretazione di Eastwood nei panni dello sceriffo che dà la caccia all’evaso, mediocre il riscontro di critica e botteghino.

Non contento del ritorno al successo e della definitiva consacrazione come regista, nel 1995 Eastwood ampliò il suo già grande bagaglio interpretando per la prima volta un film d’amore: il titolo è I Ponti di Madison County, girato a fianco di Meryl Streep e tratto dal romanzo omonimo di Robert James Waller. Eastwood è un fotografo che vive una storia d’amore breve (solo quattro giorni) ma intensissima con una casalinga di origini italiane (la Streep) che lascerà tutto scritto in un diario e che rivivrà nei ricordi dei figli. Due anni più tardi Eastwood torna al thriller in Potere Assoluto in cui interpreta un ladro che assiste a un omicidio in cui è coinvolto il Presidente degli Stati Uniti (Gene Hackman). Nemmeno a dirlo, si scatena una caccia al ladro per mettere a tacere la cosa. Presentato fuori concorso al 50mo Festival di Cannes e tratto dal libro omonimo di David Baldacci, il film è un thriller classico, lontano dai moderni filmacci tutti azione e sparatorie, che fa perno su una sceneggiatura ben salda e su una gamma di attori assolutamente credibili. Un altro ritorno avviene nel 1999 con Fino a prova contraria dove il regista-attore riprende alcuni temi a lui cari come la condanna della pena di morte e le aberrazioni del sistema giudiziario americano, interpretando un vecchio cronista alcolizzato e fumatore incallito che entro dodici ore deve provare l’innocenza di un condannato a morte.
 
Il nuovo secolo si apre con Space Cowboys, malinconico dramma umoristico dai risvolti fantascientifici in cui un gruppo di vecchi piloti (Eastwood, Tommy Lee Jones, James Garner e Donald Sutherland) si ritrovano a dover salvare la Terra dalla minaccia nucleare. Se ancora ce ne fosse bisogno, con questo film l’attore-regista marca maggiormente la mano sulla sua concezione di un cinema artigianale, fatto di storie e personaggi dove gli effetti speciali sono soltanto di sfondo, e a dimostrazione di ciò i nostri eroi saranno costretti a far atterrare lo Shuttle con le nude mani. Il 2002 è invece l’anno di Debito di sangue, un thriller ancora una volta di vecchio stampo in cui Eastwood è un detective che dopo aver ricevuto un cuore nuovo da una ragazza, viene avvicinato dalla sorella di quest’ultima che gli chiede di trovare l’uomo che l’ha uccisa. Le indagini sono quanto di più artigianale (ancora una volta) ci possa essere, con Terry McCaleb che indaga, interroga, studia e raccoglie indizi senza l’ausilio di strumenti tecnologici fino all’inevitabile duello finale con l’assassino.

Tre anni più  tardi arriva la definitiva consacrazione del Clint Eastwood regista con Million Dollar Baby che alla Notte degli Oscar si aggiudica ben quattro statuette (miglior film, miglior regia, miglior attrice protagonista per Hilary Swank e miglior attore non protagonista per Morgan Freeman). Eastwood è l’anziano allenatore di pugilato Frankie Dunn che incrocia il suo destino con quello di Maggie Fitzgerald (Hilary Swank), una donna decisa a diventare campionessa di boxe. Tra i due si instaura immediatamente un rapporto quasi paterno con Frankie che vede nella donna la figlia con cui non ha rapporti da anni e con la ragazza che vede in lui il padre che le è sempre mancato. Ai due si aggiungerà anche l’ex pugile Scrap (Morgan Freeman) che, ricucendo il difficile rapporto con Frankie, contribuirà a fare di Maggie una campionessa. Million Dollar Baby è ancora oggi la miglior regia di Clint Eastwood, vi sono sintetizzati molti dei temi caratteristici del suo cinema, a partire dalla violenza (la boxe), fino ai rapporti familiari (Frankie e Maggie alla fine diventano davvero padre e figlia) e l’amicizia (gli screzi superati con l’amico Scrap). I personaggi, in particolare quello interpretato da Eastwood, però sembrano cambiare: i tormenti interiori di Frankie, uomo ormai disilluso dalla vita per cui non ha più senso neppure ritrovare la propria figlia, non è più il duro e spietato cowboy di una volta, ma un anziano amareggiato che riflette profondamente sulla sua vita e sul suo passato trovando perfino il coraggio di “staccare la spina” alla persona che gli ha cambiato la vita.

Dopo il grande exploit di Million Dollar Baby, Eastwood sembra prendersi una pausa dirigendo la sua attenzione a film-documentari sulla guerra e così ecco arrivare nel 2006 Flags of Our Fathers e Letters from Iwo Jima ambedue dedicati alla decisiva battaglia di Iwo Jima tra americani e giapponesi. Il primo racconta la storia dei sei marines che durante la Seconda Guerra Mondiale issarono la bandiera degli Stati Uniti sulla collina dell’isola, mentre nel secondo la guerra viene raccontata attraverso le lettere dei soldati al fronte grazie alle quali Eastwood fa ancora una volta un’analisi lucida della follia di tutte le guerre.

Due anni più  tardi è la volta di Gran Torino, storia di un burbero reduce della Guerra di Corea che vive praticamente segregato in casa covando odio per qualsiasi forma di vita “diversa”, dai neri agli asiatici fino ai propri nipotini. Dedito soltanto alla cura di una vecchia auto, la Gran Torino del titolo, la sua vita viene sconvolta nel momento in cui il suo destino si incrocia con quello di un piccolo Hmong (una etnia asiatica) vittima di una gang del quartiere che lo porterà a rivedere le sue idee. Ancora una volta ci troviamo davanti a un dramma intimista in cui Eastwood apre a una speranza di redenzione anche per uomini a prima vista senza speranze e segnati da una vita di dolore e sofferenza. Nell’apertura di Walt Kowalsky verso il mondo del piccolo Thao c’è una voglia di ricominciare, di buttarsi tutto alle spalle (guerra, sofferenze familiari e odio verso se stesso) nella disperata ricerca di dare un senso alla propria vita.

Infine, nel 2009 Eastwood torna a dirigere il suo vecchio amico Morgan Freeman (nei panni di Nelson Mandela) in Invictus – L’invincibile che, sullo sfondo della storica vittoria del Sud Africa nella Coppa del Mondo di rugby del 1995, racconta l’epocale cambiamento voluto da Nelson Mandela che proprio con quella manifestazione cominciò il suo importante cammino di pacificazione nazionale e sconfitta dell’apartheid. Non un film pacifista quanto un film storico che però non si limita a narrare passivamente la storia ma a cercare di darle un senso, proprio come Mandela non iniziò il suo lavoro spinto da un fioco sentimentalismo o dalla rivalsa verso i bianchi dominatori, ma da una lungimiranza strategica e politica che da lì a breve avrebbe dato i suoi frutti.

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