Il suo sogno, però, rimase vivo e nel 1956, dopo aver girato l’ultimo film accanto all’amico James Dean, Il Gigante, Hopper si trasferì a New York per frequentare l’Actor’s Studio che non sembrò però scalfire il suo carattere burbero e poco propenso ai compromessi. L’unica via fu quindi quella di girare in prima persona un film e il risultato fu Easy Rider (1969), ancora oggi considerato uno dei capolavori della cinematografia degli anni ’60, un manifesto della gioventù ribelle figlia di quella voglia di cambiamento e libertà che segnò tutto il mondo. Costato appena quattrocentomila dollari, racconta le avventure on the road di due amici, Dennis Hopper e Peter Fonda, che attraversano in moto gli Stati Uniti incontrando lungo la loro strada anche un giovanissimo Jack Nicholson. Premiato al Festival di Cannes come migliore nuovo regista, il film ottenne anche la candidatura agli Oscar come miglior sceneggiatura, ma rappresentò soprattutto il trampolino di lancio per Hopper che proseguì la sua carriera girando due anni più tardi il documentario autobiografico American Dreamer e Fuga da Hollywood, rivelatosi però un flop in patria.
Gli anni ’80 lo rividero dietro la macchina da presa con Out of the Blue (1980), storia di una ragazza alle prese con una madre drogata e un padre incestuoso (lo stesso Hopper) per cui l’attore ricevette la candidatura alla Palma d’Oro al Festival di Cannes; nel 1983 tornò a collaborare con Coppola in Rusty Il Selvaggio per poi tornare “ se stesso” due anni più tardi in Ritorno alla quarta dimensione in cui interpreta un anziano hippy. Fu però nel 1986 che Hopper tornò alla ribalta con la splendida interpretazione del killer psicopatico Frank Booth in Velluto Blu di David Lynch: Booth racchiude in sé tutta la follia dell’uomo Hopper che per primo, letta la sceneggiatura, disse che non poteva che interpretarlo lui. E’ un uomo che vive costantemente attaccato a un bombola d’ossigeno da dove però passano anche droghe di tutti i tipi, un sadico impotente che violenta le sue vittime con la mano con eccessi sadomasochisti (durante la violenza infila un pezzo di velluto blu nella bocca sua e della vittima). Uno di quei mostri che spingono addirittura uno dei protagonisti del film a chiedersi “Perché esistono persone come Frank?” e che permisero a Hopper di entrare di diritto tra gli indimenticabili di Hollywood.
Sempre nel 1986 l’attore partecipò a Non aprite quella porta 2, seguito del fortunato film di Tobe Hooper, e a Colpo vincente per cui ricevette anche una nomination agli Oscar come miglior attore non protagonista. Un anno più tardi girò La vedova nera di Bob Rafelson e diresse Colors – Colori di guerra con Robert Duvall e Sean Penn. Nel 1989 fu ancora una volta dietro la macchina da presa e protagonista in Ore contate in cui è un killer che si innamora della propria vittima (Jodie Foster).
I primi anni del nuovo millennio lo hanno visto impegnato in ruoli secondari, tra cui quello di Kaufman in La terra dei morti viventi (2005) di George A. Romero, e diviso tra cinema e tv. Nonostante nel 2002 gli fosse stato diagnosticato un tumore, l’attore ha trovato il tempo per contrarre il quinto matrimonio e per avere la quarta figlia. Dopo una lunga battaglia e un’ultima apparizione in pubblico avvenuta il 26 marzo di quest’anno in occasione della consegna della stella con il suo nome sulla Hollywood Walk of Fame al fianco del suo amico di sempre Jack Nicholson, l’attore si è spento nella sua casa di Venice (quartiere di Los Angeles) all’età di 74 anni.
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