Quando, pochi mesi fa, scrivevo
questo
articolo, non avrei mai immaginato che Gonzalo Higuain sarebbe potuto diventare
un calciatore della Juventus. Certo, un campione come lui, autore di una
stagione incredibile, capocannoniere senza rivali e vero (e unico) artefice del
secondo posto del Napoli in Campionato, avrebbe fatto comodo a qualunque grande
squadra, ma un suo passaggio alla Juve neppure nei migliori sogni. Non c’erano
indizi, non c’era nessun elemento che potesse far sospettare un’operazione del
genere, anche perché più volte il centravanti argentino aveva giurato il suo
amore a Napoli e al Napoli, ma il calcio è solo uno sport e i calciatori,
spesso, si fanno trascinare dai tifosi e dal legame morboso che questi
riversano sulle proprie squadre e sui propri idoli, dimenticandosi che il
calciatore è un lavoro, strapagato, ma sempre un lavoro, e quando si riceva
un’offerta migliore, si può anche decidere di cambiare. Nessun tradimento,
quindi, nessun “Giudain” come è stato già battezzato il “Pipita”, ma soltanto
una scelta dettata essenzialmente da due motivi: l’età che avanza (Higuain va
per i trent’anni) e le promesse mai mantenute di un Presidente a dir poco
folkloristico che più volte si è anche permesso di definirlo “grasso” e, non
dimentichiamolo, tra gli artefici dell’elezione di Tavecchio alla Federcalcio.
Insomma, il rapporto tra il Napoli e il suo centravanti non è mai stato così idilliaco
come sembrava, gli attriti ci sono sempre stati e la sceneggiata della stagione
scorsa a Udine ne è stata la dimostrazione: Higuain era stanco di giocare da
solo, di caricarsi sulle spalle una squadra mai alla sua altezza, un’intera
città che faceva fede su di lui, ma che nessuno, De Laurentiis in primis, ha
mai messo nelle condizioni di vincere. Certo, il discorso dell’importante non è
vincere è romantico quanto volete, ma l’obiettivo di un calciatore, come di un
allenatore d’altronde, è quello: vincere. E se il Napoli in tutti questi anni
non è mai riuscito a costruire una compagine in grado di duellare ad armi pari
con la Juventus, non è certo colpa del “Pipita”, anzi, i tifosi del Napoli
dovrebbero soltanto essergli grati per ciò che ha dato nei suoi tre anni in
maglia azzurra: 104 reti in 71 presenze; unico calciatore ad aver segnato più
reti (36) in una singola stagione del campionato italiano; unico calciatore,
insieme a Diego Armando Maradona, ad andare a segno per sei giornate
consecutive nel campionato italiano; unico calciatore ad aver segnato più reti
in campionato in una singola stagione; unico calciatore ad aver vinto la
classifica cannonieri della serie A con la media-gol più alta (1,029 gol a
partita) in una singola stagione del campionato italiano; unico calciatore ad
aver realizzato, considerando tutte le competizioni, il maggior numero di reti
(38) in una singola stagione (insieme ad Edinson Cavani). Ma di cosa stiamo
parlando?
È davvero incomprensibile (e sportivamente
inaccettabile) come i tifosi e gli ex compagni di squadra di Higuain stiano
prendendo le distanze dal “Pipita”: coloro per cui era un idolo, ora lo
definiscono un poveraccio, un infame, un traditore e perfino Lorenzo Insigne,
sui social, ha pubblicato un post in cui lo definisce “un piccolo uomo”
(speriamo sia un fake). Se un “piccolo uomo” è colui che ambisce alla crescita
professionale, allora tutti noi siamo “piccoli uomini”, ognuno che sogna una
promozione o un aumento di stipendio è un “piccolo uomo”. Ma, in fondo, lo
sappiamo tutti che il “piccolo uomo” è soltanto colui che non riconosce i
meriti degli altri, che dimostra ingratitudine a qualcuno che invece
meriterebbe riconoscenza a vita. Il dolore dei tifosi del Napoli è grande
quanto il loro amore per la propria squadra, ma non si può sputare addosso a un
calciatore che l’ha fatta diventare grande, che l’ha portata in Europa e ha
fatto sognare milioni di tifosi. Tutto questo mi ricorda la pessima scelta
della Juventus (e di molti dei suoi tifosi) di non dedicare una stella dello
Juventus Stadium a Zibì Boniek, una colossale stupidaggine, dettata, guarda
caso, dal presunto tradimento del polacco passato alla Roma, rivale di sempre. Nel
calcio i campioni vanno e vengono, l’idea romantica della “bandiera” si è
estinta ormai da anni, forse gli ultimi sono stati Del Piero e Totti, nel 2006
la fortissima Juventus di Capello venne smantellata e in un attimo partirono
fuoriclasse del calibro di Ibrahimovic, Vieira, Thuram, Cannavaro, Emerson
ecc., ma nessuno (di buon senso) si è mai sognato di accusarli di alto
tradimento, di essere infami, di essere dei poveracci, perché era giusto che
ognuno facesse le proprie scelte, a maggior ragione vista la situazione che si
era creata. Ma lo sappiamo, l’Italia è spesso prigioniera del proprio passato,
di una visione distorta che trasforma una squadra di calcio in proprietà
privata dei tifosi e di quella pseudo stampa locale il cui unico scopo è
scaldare gli animi e creare polemiche in nome dell’audience e che,
nell’occasione, ha anche organizzato un “processo a Higuain” in diretta
televisiva. Anche per questo motivo, il nostro calcio è indietro di decenni
rispetto al resto d’Europa, perché il calcio è di chi lo ama, come recita uno
slogan televisivo, non di chi crede che sia una puntata di L’onore e il rispetto.
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