Da qualche giorno è sulla bocca di tutti gli
appassionati di calcio, è diventato l’argomento principe dei discorsi da bar e
dei battibecchi tra tifoserie avversarie, ha perfino messo in secondo piano due
accadimenti molto più importanti come la richiesta di condanna a sei mesi ad Antonio Conte
per la questione calcio scommesse e il presunto coinvolgimento dell’Inter nello
scandalo dei fondi nascosti a Panama. D’altronde si sa, noi italiani siamo
specializzati nel dare battaglia per delle sciocchezze mentre attorno non ci
accorgiamo che ci stanno portando via tutto.
La squalifica di quattro giornate
inflitta al “Pipita” dopo la scenata isterica di Udine, quando la squadra stava
già sotto 3-1 e in balia di avversari in lotta per non retrocedere, si è
trasformata nella nuova e inutile crociata da portare avanti a suon di
vittimismo e accuse di complotti e imbrogli vari. Dimenticandosi di quanto già aveva fatto lo stesso attaccante argentino un anno fa, a Parma, quando aveva accusato i calciatori avversari di impegnarsi troppo e di non lasciarli vincere, ma scagliandosi contro Leonardo Bonucci,
perché squalificato solo per una giornata dopo l’atto di “bullismo” contro
Rizzoli, nel derby tra Juventus e Torino, e naturalmente scordandosi le due giornate beccate da Khedira per un banale "questo è scemo" detto sottovoce. Così tutti lì a protestare e a
gridare allo scandalo, dopo che il Napoli ha buttato al cesso dieci punti di
vantaggio, ha perso il decisivo scontro diretto, giocando una partita “catenacciara”
e senza coraggio, facendosi raggiungere e superare da una squadra che fino a
novembre scorso era in zona retrocessione. Allora, guarda caso, nessuno si
lamentava degli arbitraggi a favore della Juventus, dei suoi giocatori mai
ammoniti. Tutto andava magicamente bene, il campionato italiano era tornato
bello e competitivo, come nel dopo Calciopoli, quando tutto sembrava essere
stato rimesso a posto, il calcio era tornato pulito (su questo mi piacerebbe
tanto sentire il parere dei tifosi della Roma che per due anni si è giocata lo
scudetto contro l’imbattibile Inter costruita sulle ceneri della Juventus).
Insomma, fino a quando le cose vanno bene, non ci si lamenta, si gode, si
festeggia, alcuni calciatori arrivano anche a dire “Godo a vedere la Juventus
ultima”, e poi, improvvisamente, quando i bianconeri rimontano grazie
soprattutto a una cultura che ha fatto della vittoria un dovere e alla
straordinaria forza di carattere dei giocatori, il giocattolo si rompe. La
Juventus torna a rubare, gli arbitri la aiutano (come mai fino a novembre
nessun Rizzoli o Rocchi o Tagliavento ha evitato che la squadra di Allegri
finisse in zona retrocessione?), torna lo spettro dell’arroganza di Agnelli and
company, tornano di moda Moggi e Giraudo, si tira addirittura in ballo il
calendario stilato mesi fa. E, ciliegina sulla torta, l'eterna barzelletta su "In Europa la Juventus non vince perché non può comprare gli arbitri", una teoria nata dall'ignoranza in materia di calcio, perché i bianconeri hanno giocato otto finali di Coppa dei Campioni/Champions League, una finale di Coppa delle Coppe, tre finali di Coppa delle Fiere, tre finali di Coppa UEFA, due finali di Intercontinentale e due finali di Supercoppa Europea, numeri davvero strani per una squadra che in Europa è un flop. Se la Juve in Europa non vince, le altre cosa fanno? Tutto questo, tra l’altro, abilmente manovrato da
giornalisti privi di scrupoli (vero, caro Liguori? Lo stesso che ha portato
Raffaele Sollecito a fare l’opinionista in tv…) il cui unico interesse è
vendere i propri stracci di giornali o fare audience alle loro penose
trasmissioni televisive. E i tifosi? Lo sappiamo, il tifo è una malattia e come
tale rende irrazionale ognuno di noi, ma da qui a mettere in piedi una vera
operazione di odio verso una squadra di calcio che ha solo il demerito di aver
stravinto gli ultimi quattro scudetti, di aver giocato una finale di
Champions League, di essere stata capace di costruirsi uno stadio proprio, di aver trasformato una semplice squadra di calcio in una vera industria, è qualcosa di squallido e rivoltante.
Tutti si sono gettati alle spalle gli anni felici del dopo Calciopoli, per
ricominciare la crociata antijuventina, solo perché in Italia non esiste la
cultura della sconfitta. Si deve sempre cercare il colpevole, il complotto, l’imbroglio:
se in politica non si vince è perché ci sono stati i brogli elettorali (d’altronde
la nostra storia in proposito è vecchia, ricordate il referendum tra repubblica
e monarchia?), se la propria squadra di calcio non vince è perché un’altra ruba
e imbroglia, se non riceviamo la promozione a lavoro è perché un altro collega
ha leccato il culo ai capi, fregandoci, se l’erba del nostro prato non cresce è
perché il vicino ci boicotta, se qualcuno fa il lavoro che vorremmo fare noi, è
solo perché raccomandato. L’Italia è il Paese dei capri espiatori, delle
mancate assunzioni di responsabilità, dei complotti infiniti, delle scuse e
delle giustificazioni.
Secondo metà della tifoseria italiana, la Juventus ruba
da ormai quasi un secolo, eppure in tutti questi anni si sono susseguiti
centinaia di arbitri, centinaia di giocatori e di dirigenti, eppure i
bianconeri sono sempre stati accusati di rubare, tranne naturalmente quando non
vincevano, lì, misteriosamente, scattava qualche meccanismo che impediva agli
arbitri di avere paura dei giocatori juventini, di dare il calcio di rigore
dubbio, di favorire la Juventus. Come mai? Probabilmente non lo scopriremo,
rimarrà come il mistero di Ustica. Non lo sanno neppure quei tifosi che da
quarant’anni distillano odio verso i bianconeri, trasmettendolo ai figli e ai
nipoti, a causa di un retaggio passato che definiva la Juventus “la squadra del
padrone” solo perché di proprietà della famiglia Agnelli. E allora, negli stadi
si alzava il coro “Il lunedì che umiliazione, andare in fabbrica a servire il
tuo padrone, oh juventino, ciuccia piselli di tutta quanta la famiglia
Agnelli...”. Un fenomeno che ha fatto della Juventus il capro espiatorio di un’intera
generazione in cerca di riscatto, afflitti da complesso di inferiorità, di una lotta di classe che nemmeno il
compagno Folagra di fantozziana memoria si sarebbe mai immaginato di portare
avanti. La Juventus è rimasta la squadra del padrone e quindi va odiata, va
contrastata in tutte le maniere, anche le più meschine. Un odio che forse
soltanto la figura del Silvio Berlusconi politico ha eguagliato: metà Italia
contro e metà a favore. Ma come sappiamo, l’odio è comunque un sentimento e lo
si prova solo per qualcosa o qualcuno a cui si dà importanza, e la Juventus è
molto di più di una squadra di calcio, ormai, è un’ossessione, è uno spettro,
una maledizione che periodicamente si abbatte contro chi non è in grado di
riconoscere i propri limiti e i propri errori, sugli arroganti che devono
trovare per forza una giustificazione ai loro fallimenti. La Juventus è come la
religione, è esistita esiste ed esisterà sempre, tra alti e bassi, tra crociate
e Giubilei, tra guerre e riappacificazioni, tra eresie e scomuniche, ma alla
fine tutti si ritroveranno in chiesa a pregare quello stesso Dio che si era
odiato, insultato e maledetto.
Rassegnatevi, non vi libererete mai di noi,
perché la Juventus siete anche voi.
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