Una puntata molto simile a quella della settimana scorsa, lenta, molto dialogata e in cui gli zombie sono praticamente invisibili (se ne vedono giusto tre alla fine). Dopo un breve tuffo nel passato, in cui scopriamo come e perché Shane ha abbandonato l’amico Rick all’ospedale, il nucleo della puntata si concentra ancora una volta nei meccanismi interpersonali tra i sopravvissuti a cui si va ad aggiungere la figura del medico dell’istituto, un uomo che li accoglie, che gli fa credere (probabilmente per compassione) di essere finalmente al sicuro, ma che alla fine è costretto a rivelare la triste situazione in cui si trovano. Si susseguono confessioni, sfoghi, anche tentati stupri in preda all’alcool che aumentano la quantità di carne al fuoco, nella speranza che i dodici episodi della seconda stagione possano dare tutte quelle risposte che sono rimaste in sospeso.
Un “difetto” figlio purtroppo del nuovo modo di fare tv, in cui le serie non vengono più scritte per intero, iniziando e dando una fine, ma man mano che arrivano i risultati dell’audience: se una serie piace si continua, sennò si fa finta di niente e la si fa sparire. È già successo con Happy Town e col più recente The Gates, cancellate dopo la prima stagione dalle case di produzione perché non sufficientemente viste dagli spettatori, il tutto alla faccia di chi invece la ha seguite e che avrebbe diritto a un trattamento diverso. Con The Walking Dead, per fortuna, questo spettro sembrerebbe esorcizzato, almeno per il momento; certo, non pretendo che si replichi un secondo Lost o un CSI, però viste le solide basi su cui poggia il progetto di Darabont, ci sarebbe spazio ancora per tante cose. Speriamo che i nuovi sceneggiatori scelti per la seconda stagione non tradiscano le aspettative.
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