The Truman Show è il film con cui Jim Carrey si è “sdoganato”, dimostrando la sua capacità a interpretare ruoli che andassero oltre quelle demenziali maschere che lo avevano reso famoso (Ace Ventura, Scemo+Scemo ecc.). Diretto dal regista australiano Peter Weir nel 1998, il film pone l’attenzione per la prima volta al cinema (un anno più tardi se ne parlerà anche in Ed TV di Ron Howard) sull’ormai dilagante potere che la televisione esercita sulle persone, in particolare sugli spettatori.
Si narra la storia di un uomo, Truman Burbank (Jim Carrey), la cui vita diventa uno show televisivo fin dal giorno della sua nascita. Il mondo in cui Truman vive è un mondo perfetto fatto di una casa bella ed elegante, con un prato verde e rigoglioso, con vicini simpatici e cortesi, con una moglie bella e un lavoro soddisfacente e ben retribuito. Insomma, attorno al protagonista viene creato un mondo artificiale che solo per lui è la realtà. A sua insaputa, infatti, la casa e la città in cui vive non sono altro che un immenso set televisivo; il sole e il cielo sempre perfettamente azzurro sono solo effetti speciali come la pioggia o i temporali; e la gente che considera sua amica e perfino sua moglie non sono che attori pagati (la moglie/attrice prende anche un extra di diecimila dollari ogni volta che va a letto con lui). E dietro a tutto ciò c’è un uomo, Christof (uno straordinario Ed Harris), che ha fatto del Truman Show la sua stessa vita, sempre davanti allo schermo a seguire le mosse del suo prediletto e sempre pronto a fare di tutto pur di non fare scoprire la verità al protagonista del megashow americano. Ci vorrà l’inatteso arrivo di una ex-comparsa pentita per fare dubitare per la prima volta Truman della sua vita.
Il film (scritto da Andrew Niccol, autore un anno prima di Gattaca e qualche anno più tardi di S1mOne) è costruito in maniera impeccabile, con un lento cammino verso lo svelamento della verità, in cui lo spettatore viene quasi preso per mano, e insieme a lui un ingenuo e tenero Jim Carrey che giorno dopo giorno intuirà che attorno a lui è tutto troppo perfetto. Troppo sorridenti i cittadini, troppo stabile il clima, troppo disciplinato il traffico. E poi quel faretto che cade dal cielo, quel cono di pioggia che segue Truman simile alla nuvoletta di Fantozzi, che cosa significheranno? E così alla fine, quando è alla soglia dei trent’anni, anche Truman si troverà a chiedersi per la prima volta se davvero quella è la sua vita, se davvero quello è il suo mondo, cominciando un processo che vedrà il protagonista del film riuscire finalmente a trovare la forza e il coraggio per affrontare ciò di cui ha paura… fino a un finale che può essere considerato un classico del genere e in cui qualche lacrima verrà versata di certo.
La riflessione che maggiormente spicca dal film di Weir, è una riflessione profonda sulla vita della gente e soprattutto sul bisogno che ognuno di noi ha di sapere certa la presenza di un mondo perfetto, diverso e quasi agli antipodi dal nostro (in questo caso la piccola cittadina di Seahaven), in cui immedesimarsi e di cui sentirsi parte integrante (belle le immagini in cui si vedono centinaia di persone accalcate davanti allo schermo televisivo a fare il tifo per Truman). Così questo megashow che registra giorno dopo giorno ascolti stratosferici, alla fine si trasforma in una autentica valvola di sfogo per tutti coloro che vorrebbero una vita perfetta come quella di Truman Burbank, Chistof per primo, ma che nello stesso tempo vorrebbero che il protagonista scoprisse la verità anche per sentirlo più vicino, più simile!
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