di Stefania Auci
0111 Edizioni
pp. -
€ 9,90
Tre racconti, legati da uno stesso filo e da personaggi che intrecciano i loro destini lungo tre secoli, ma diversi tra loro: il primo più classico, con due vampiri alle prese col dissanguamento di una bella e infelice donna; il secondo e il terzo più intimistici dove c’è spazio per l’amore e per sentimenti che sembrerebbero rendere i vampiri più simili agli umani. Dico “sembrerebbe” perché alla fine, comunque, la Auci rimane anch’essa legata a una visione classica del personaggio portato alla ribalta da Bram Stoker: il vampiro è un essere diabolico e tale rimane. Per lui l’uomo è solo fonte di nutrimento e se anche l’esperienza di molti secoli sulle spalle lo porta a farsi tante domande e ad avere molti dubbi, alla fine la sua natura avrà comunque la meglio. Non c’è spazio per lacrimevoli storie d’amore, per autodistruttivi sensi di colpa o per poco credibili crisi d’identità: qui il vampiro fa il vampiro, anche se è in grado di farsi una famiglia e avere dei bambini.
Piacevole lettura, dicevo, impreziosita dallo stile dell’autrice molto brava a far respirare l’aria di una Edimburgo sempre d’inverno, dove piove tutti i giorni e dove i colori grigi la fanno da padrone.
Unica tiratina d’orecchi a chi ha eseguito (male) l’editing del libro pieno di refusi, a partire dal nome della protagonista del primo racconto chiamata prima Elisabeth e poi Elizabeth. Poi vocaboli tranciati e qualche periodo da ricostruire perché privo di alcune parole.
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