Mentre in rete impazza il dibattito su se sia più giusto definirlo “Il re dell’horror” o semplicemente “Il re”, Stephen King, assolutamente disinteressato all’argomento, continua a scrivere libri, preoccupandosi soltanto di farlo nella maniera migliore. Con Joyland, appena uscito in Italia con Sperling & Kupfer, ci troviamo di fronte a un romanzo che gli appassionati difficilmente dimenticheranno, una di quelle storie che hanno fatto la fortuna di King e che non possono e non devono essere etichettate in nessun modo, nonostante il tira e molla tra chi vorrebbe farlo passare per una crime novel e per chi ne rivendica l’origine horror.
La storia del giovane Devin Jones, a cui il parco di divertimenti di Joyland cambierà per sempre la vita durante un’estate calda e ricca di avvenimenti, trasuda King da tutte le parti: c’è tanto di IT, ma non mancano le similitudini con la novella Il corpo (da cui il film Stand by me – Ricordo di un’estate) o con L’acchiappasogni e si trattano tematiche storicamente care allo scrittore americano, come il passaggio all’età adulta o l’amicizia e l’amore. Niente di nuovo, quindi, ma la capacità di King di avvolgere lo spettatore e di trascinarlo dentro le pagine rimane immutata, grazie anche alla sua bravura di utilizzare il racconto in prima persona (pochi scrittori sanno farlo così bene), e al costruire personaggi che vanno ben oltre il romanzo stesso, facendosi carne e sangue: Jonsey, i suoi amici Tom ed Erin, il piccolo Mike, la bellissima Annie, i vari lavoratori di Joyland già dopo poche pagine ci appaiono in carne e ossa, prendendoci per mano e guidandoci in un viaggio pieno di emozioni, positive e negative, che cambierà la vita anche a noi.
Dopo l’enciclopedico (e didascalico) 22/11/63, con Joyland King ci riporta nel suo mondo, dove l’horror (o il thriller) sono soltanto un pretesto per raccontarci una storia di amore, coraggio e amicizia, riuscendo anche ad arginare i difetti che hanno accompagnato alcuni dei suoi libri, a partire dalla prolissità (nelle 350 pagine di cui è composto Joyland non c’è spazio per pause o dilatazioni inutili), calando un po’ quando arriva il momento di dipanare la matassa, ma lasciandoci con un groppo in gola nello struggente finale, in cui, ancora una volta, ci troviamo di fronte alla sua inimitabile capacità di raccontare l’infanzia e un mondo che ormai non esiste più.
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