Quando ho cominciato a seguire questa serie ispirata (e sottolineo solo ispirata) al romanzo di Stephen King Colorado Kid, interessante escursione nel mistery del re dell’horror, avrei voluto esaminarla episodio per episodio così da poter concentrarmi sullo sviluppo di storia e personaggi, ma ciò non è stato possibile a causa della sua costruzione anomala, poco lineare e strutturata.
I tredici episodi della prima stagione, sono infatti puntate a se stanti, legate soltanto da personaggi e location e prive di un vero obiettivo su cui focalizzarci.L’agente dell’FBI Audrey Parker (Emily Rose) sbarca ad Haven per indagare sulla morte di un ex criminale locale, ma ben presto si troverà ad affrontare fenomeni paranormali che coinvolgono gran parte dei cittadini. Spinta da una misteriosa foto in cui è raffigurata una donna che le somiglia come una goccia d’acqua, la donna chiede di essere momentaneamente assegnata al dipartimento del luogo per portare avanti le indagini e scoprire da un lato l’origine dei cosiddetti “problemi” (come vengono chiamati dagli abitanti di Haven gli eventi soprannaturali) e dall’altro capire se la donna della foto può essere la madre che non ha mai conosciuto. Nel frattempo il suo fascino non passerà inosservato a Nathan (Lucas Bryant, il suo compagno di lavoro) e a Duke (Eric Balfour), ragazzaccio dedito a loschi traffici.
Nonostante alcuni buoni spunti, Haven ha due difetti di base e cioè la scarsa originalità (sostanzialmente non porta nulla di nuovo nel panorama della tv) e la mancanza di un obiettivo: se ad esempio per i naufraghi di Lost lo scopo di tutto era lasciare l’isola o per i sopravvissuti di The Walking Dead è di trovare un luogo sicuro non infestato dagli zombie, in Haven non si capisce bene dove si vuole andare a parare. Sappiamo che Audrey si ferma in questo ridente paesino sulla costa del Maine per ritrovare le proprie radici, ma da un lato la ricerca della donna rimane sempre troppo marginale rispetto allo sviluppo delle puntate e dall’altro viene affiancato da altre ricerche (oltre la prima metà degli episodi Duke si metterà a caccia del misterioso uomo tatuato che secondo una preveggenza lo ucciderà), creando soltanto più confusione. Gli autori mettono tanta carne al fuoco, soprattutto nelle ultime puntate, ma non arrivano a niente di concreto, tutti i cerchi rimangono aperti in attesa di chiarezza.
Ogni puntata è dedicata a un “problema”, ma nessuno di questo ha mai una spiegazione, si tenta solo di tappare la falla (trovando il possessore del potere) per evitare ulteriori danni, senza andare a fondo, senza capire perché i sogni di un ragazzino si avverano, perché l’ombra di un uomo vive una vita (criminale) propria, perché la rabbia frustrata di un adolescente emarginato è in grado di scatenare incendi ed esplosioni. La sceneggiatura risulta quindi superficiale e improvvisata, priva di quel filo che dovrebbe unire i vari episodi e di quel movimento crescente che porterebbe a un epilogo soddisfacente.Anche i personaggi non sono il massimo dell’originalità: la Parker è la classica donna sola, per cui il lavoro è tutto, che a Haven trova dei motivi per riflettere su se stessa e sulla propria vita. Nathan è il figlio dello sceriffo come lo si era già visto in decine di film coi suoi contrasti col padre e un’aria da dannato e con una malattia (non sente i contatti fisici, né dolore né piacere) che lo rende ancora più tenebroso; Duke, infine, è il solito belloccio e impenitente dedito a traffici illegali ma dal cuore tenero.
Alla fine tutto ciò che si chiederà lo spettatore è di chi si innamorerà Audrey (se dell’integerrimo ma complicato Nathan o dell’incorreggibile Duke), per il resto permangono tanti dubbi su una serie che sembra non avere ancora trovato la propria strada.
Negli Stati Uniti è partita la seconda stagione, speriamo sia più concreta della prima.
I tredici episodi della prima stagione, sono infatti puntate a se stanti, legate soltanto da personaggi e location e prive di un vero obiettivo su cui focalizzarci.L’agente dell’FBI Audrey Parker (Emily Rose) sbarca ad Haven per indagare sulla morte di un ex criminale locale, ma ben presto si troverà ad affrontare fenomeni paranormali che coinvolgono gran parte dei cittadini. Spinta da una misteriosa foto in cui è raffigurata una donna che le somiglia come una goccia d’acqua, la donna chiede di essere momentaneamente assegnata al dipartimento del luogo per portare avanti le indagini e scoprire da un lato l’origine dei cosiddetti “problemi” (come vengono chiamati dagli abitanti di Haven gli eventi soprannaturali) e dall’altro capire se la donna della foto può essere la madre che non ha mai conosciuto. Nel frattempo il suo fascino non passerà inosservato a Nathan (Lucas Bryant, il suo compagno di lavoro) e a Duke (Eric Balfour), ragazzaccio dedito a loschi traffici.
Nonostante alcuni buoni spunti, Haven ha due difetti di base e cioè la scarsa originalità (sostanzialmente non porta nulla di nuovo nel panorama della tv) e la mancanza di un obiettivo: se ad esempio per i naufraghi di Lost lo scopo di tutto era lasciare l’isola o per i sopravvissuti di The Walking Dead è di trovare un luogo sicuro non infestato dagli zombie, in Haven non si capisce bene dove si vuole andare a parare. Sappiamo che Audrey si ferma in questo ridente paesino sulla costa del Maine per ritrovare le proprie radici, ma da un lato la ricerca della donna rimane sempre troppo marginale rispetto allo sviluppo delle puntate e dall’altro viene affiancato da altre ricerche (oltre la prima metà degli episodi Duke si metterà a caccia del misterioso uomo tatuato che secondo una preveggenza lo ucciderà), creando soltanto più confusione. Gli autori mettono tanta carne al fuoco, soprattutto nelle ultime puntate, ma non arrivano a niente di concreto, tutti i cerchi rimangono aperti in attesa di chiarezza.
Ogni puntata è dedicata a un “problema”, ma nessuno di questo ha mai una spiegazione, si tenta solo di tappare la falla (trovando il possessore del potere) per evitare ulteriori danni, senza andare a fondo, senza capire perché i sogni di un ragazzino si avverano, perché l’ombra di un uomo vive una vita (criminale) propria, perché la rabbia frustrata di un adolescente emarginato è in grado di scatenare incendi ed esplosioni. La sceneggiatura risulta quindi superficiale e improvvisata, priva di quel filo che dovrebbe unire i vari episodi e di quel movimento crescente che porterebbe a un epilogo soddisfacente.Anche i personaggi non sono il massimo dell’originalità: la Parker è la classica donna sola, per cui il lavoro è tutto, che a Haven trova dei motivi per riflettere su se stessa e sulla propria vita. Nathan è il figlio dello sceriffo come lo si era già visto in decine di film coi suoi contrasti col padre e un’aria da dannato e con una malattia (non sente i contatti fisici, né dolore né piacere) che lo rende ancora più tenebroso; Duke, infine, è il solito belloccio e impenitente dedito a traffici illegali ma dal cuore tenero.
Alla fine tutto ciò che si chiederà lo spettatore è di chi si innamorerà Audrey (se dell’integerrimo ma complicato Nathan o dell’incorreggibile Duke), per il resto permangono tanti dubbi su una serie che sembra non avere ancora trovato la propria strada.
Negli Stati Uniti è partita la seconda stagione, speriamo sia più concreta della prima.
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