martedì 26 luglio 2011

Stephen King e il Cinema: Gli anni '70 e '80

Nonostante la storia ci insegni che il cinema ha da sempre avuto un rapporto a volte quasi di dipendenza dalla letteratura, difficilmente si è mai arrivato a fare di uno scrittore un’icona cinematografica oltre che letteraria: è il caso del maestro dell’horror Stephen King per il quale sceneggiatori, produttori e registi sembrano avere una particolare predilezione.

Il legame che unisce King al cinema è ormai secolare, fin dal suo esordio avvenuto nel 1974 con il romanzo Carrie portato sul grande schermo soltanto due anni dopo da un maestro come Brian de Palma allora ancora agli inizi. La storia della timida e impacciata Carrie White, considerata da King simbolo delle difficoltà adolescenziali (in questo caso acuite da una madre bigotta e religiosamente fanatica), al cinema divenne il capostipite di un intero genere di film (quello dei teen-horror ancora oggi attualissimi) che permise a De Palma di imporsi all’attenzione di media e critici e che lanciò le carriere di alcuni attori che avrebbero fatto la storia del cinema (dalla stessa Sissy Spacek e John Travolta). Campione di incassi al botteghino, ma snobbato dalla critica che allora lo definì un trash-movie di Serie B, il film ricevette anche due candidature all’Oscar per Sissy Spacek e Piper Laurie (rispettivamente Carrie e la madre di Carrie).

Quattro anni più tardi è un altro maestro del cinema, Stanley Kubrick, a misurarsi con un riadattamento cinematografico di un romanzo di Stephen King, decidendo di portare sui grandi schermi Shining (1980), uno dei migliori lavori dello scrittore americano ma anche uno dei film più controversi a causa delle profonde diversità dal libro. Lo stesso King ha più volte ripetuto che non considera il film di Kubrick la vera trasposizione cinematografica del suo Shining, tanto che nel 1997 si occupò di scrivere la sceneggiatura per una miniserie tv ispirata al suo lavoro. Nonostante il duro giudizio di King, però, lo Shining di Kubrick rimane uno dei capolavori assoluti del cinema moderno, grazie soprattutto alla volontà del regista di non seguire pedissequamente il soggetto del libro, ma di rileggerlo e trasformare una storia horror dove un hotel è simbolo di follia e morte, in una dramma sulla solitudine e sull’alcolismo in cui il protagonista non è un disadattato dall’infanzia infelice, ma un uomo con tutte le debolezze degli uomini, sempre in lotta per non cadere nell’irrazionalità.

Nel 1982 è la volta di Creepshow, film a episodi diretto dal re degli zombie George A. Romero e scritto direttamente da Stephen King. Il film è un chiaro omaggio dei due (amici nella vita reale) ai fumetti horror della EC Comics apparsi negli Stati Uniti dal secondo dopo guerra fino agli anni ’50. In uno degli episodi (La morte solitaria di Jordy Verrill) il protagonista è lo stesso King nei panni di un contadino alle prese con un meteorite caduto nel proprio terreno. Nonostante sia considerato uno dei film minori nella storia cinematografica di Stephen King, la pellicola incassò ben 21 milioni di dollari (37° incasso Usa del 1982) contro gli 8 milioni che era costato e ben presto divenne un cult del circuito home video.
Un anno più tardi il protagonista del nuovo film tratto da un romanzo di Stephen King è un cane, Cujo, un grosso e docile San Bernardo che dopo esser stato morso da un pipistrello si trasforma in una feroce macchina da guerra. Il regista è Lewis Teague (sicuramente non uno specialista del genere) e il film è il classico thriller claustrofobico in cui l’assedio a cui sono sottoposti mamma e figlio si concluderà con un inevitabile lieto fine dove sarà la donna (e non è la prima volta, a partire da Shining) l’eroe di turno.

Il 1983 sembra un anno di grazie per lo scrittore americano, che vede altri suoi due romanzi trasposti al cinema: La zona morta e Christine – La macchina infernale. Il primo è diretto da un altro mostro sacro di Hollywood, il David Cronenberg di La Mosca che decide di adattare per il grande schermo la storia di  Johnny Smith (uno strepitoso Christopher Walken), professore che dopo un lungo periodo di coma causato da un incidente d’auto, si risveglia scoprendo di poter vedere il futuro. Johnny diventa così prima una “bestia rara” da Circo e poi un solo e solitario profeta che nessuno segue se non per trarne beneficio (il politicante dai modi mussoliniani Greg Stillson vorrebbe farne il simbolo della sua campagna elettorale per il Senato). Il suo non potrà quindi che essere un tragico destino di morte.

Con Christine – La macchina infernale si torna invece ai temi già trattati in Carrie: il protagonista è ancora una volta un adolescente difficile (questa volta è un maschio, Arnie Cunningham), studente imbranato preso di mira dai bulli che un giorno si imbatte in una vecchia Plymouth dai poteri demoniaci. Diretto dal grande John Carpenter, il film vede ancora una volta la riscossa dei cosiddetti nerds (in lingua inglese soprattutto studenti dotati di un quoziente intellettivo superiore alla media ma anche incapaci di socializzare e quindi spesso emarginati) che trovano in un oggetto inanimato (in questo caso un’auto) il modo per superare o credere di superare i propri problemi e prendersi quelle rivincite che hanno sempre sognato. La loro però è una vittoria di Pirro, una battaglia vinta all’interno di una guerra che saranno destinati a perdere insieme alla loro vita.

Nel 1984 uscirono al cinema altri due film tratti dai romanzi di Stephen King: il primo fu Grano Rosso Sangue (tratto dal racconto I figli del grano inserito nella raccolta A volte ritornano) in cui si narrano le disavventure di una coppia che, scoperto il cadavere di un bambino, decide di fermarsi nel piccolo e sperduto paesino di Gatlin per denunciare l’accaduto, senza però sapere che lì cose terribili li attendono. Il film, diretto da Fritz Kiersch, è l’ennesimo horror di serie B in cui la provincia americana si trasforma in una sorta di inferno in Terra (vedi Non aprite quella porta, Le colline hanno gli occhi e altri horror cult di quegli anni) e viene ricordato soprattutto perché nella parte della protagonista c’è la Linda Hamilton futura protagonista di Terminator.

Il secondo fu Fenomeni paranormali incontrollabili, tratto dal romanzo L’incendiaria scritto da King nel 1982, in cui la protagonista è una bambina di sette anni (la Drew Barrymore di E.T.) capace di appiccare il fuoco col solo potere della mente. Il tema del “supereroe” maledetto torna dopo La zona morta, ma qui King (e di conseguenza in regista Mark L. Lester) innesta anche l’elemento del “cattivo soldato” con i militari che si mettono a caccia della piccola e del padre dotato di poteri ipnotici per farne uno strumento bellico. Mediocre film di serie B, è apprezzabile soprattutto perché uno dei primi in cui gli effetti speciali cominciano a fare spettacolo.

Nel 1985, il regista di Cujo Lewis Teague ci riprova portando sul grande schermo due racconti tratti ancora una volta da A volte ritornano (Quitter inc. e Il cornicione) e uno scritto direttamente da Stephen King nel film L’occhio del gatto. Divertente mix tra horror splatter e commedia nera, il film vede tra i protagonisti ancora una volta Drew Barrymore e tante autocitazioni ironiche tra cui un cane idrofobo (Cujo), una macchina con un adesivo su cui è scritto “Io sono Christine” (Christine – La macchina infernale), un personaggio che legge il romanzo Pet Sematary e un altro che guarda in tv La zona morta.

Nello stesso anno il regista Daniel Attias porta al cinema Unico indizio la luna piena tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, in cui lo scrittore americano tratta il tema della licantropia, ambientando la sua storia ancora una volta nella provincia americana. Stavolta il protagonista è un ragazzo paraplegico che dopo una serie di terribili delitti, si trova faccia a faccia con l’autore degli omicidi: un licantropo. Scoperta l’identità del mostro, il ragazzo chiederà aiuto alla sorella e allo zio per ucciderlo (col classico proiettile d’argento). Il film è l’ennesima parabola sull’adolescenza e sull’emarginazione (in questo caso un ragazzo handicappato che deve combattere perfino contro le gelosie della sorella) e sulla presunta tranquillità della provincia americana, arricchita stavolta da una buona dose di grandguignol.

Anche il 1986 è un anno prolifico per la produzione cinematografica ispirata ai romanzi di Stephen King e così ecco arrivare nelle grandi sale l’ennesimo racconto inserito in A volte ritornano. Stavolta si tratta di Brivido tratto dal racconto Camion in cui, come già avvenuto in Christine – La macchina infernale, siamo nuovamente di fronte a delle macchine che si rivoltano contro l’uomo. Se nel film di Carpenter, però, la vecchia Plymouth obbediva in qualche modo ai voleri del suo padrone, in Brivido le macchine intese genericamente come “tutto quanto al servizio dell’uomo” hanno una coscienza propria e consapevoli di quello che stanno facendo, attaccano volontariamente l’uomo, il tutto dopo che la coda di una cometa è venuta in contatto con la Terra.

Dietro la macchina da presa, al suo debutto, c’è lo stesso Stephen King che vorrebbe mixare horror splatter a humor nero ma che invece partorisce una sorta di parodia di Dawn of the Dead di Romero in cui i protagonisti non sono gli zombie, ma camion e macchine assassine che falciano, schiacciano e strombazzano all’impazzata. Una pellicole decisamente mediocre, a tratti avvilente, che però non svilisce il nostro adorato King.

Il 1986 è però ricordato soprattutto per uno dei capolavori assoluti ispirati all’opera del Re dell’horror e vale a dire Stand By Me – Ricordo di un’estate, delicatissimo dramma giovanile di Rob Reiner tratto dal racconto Il Corpo inserito nella raccolta Stagioni Diverse. Siamo ancora una volta nella provincia americana, a Castle Rock per la precisione, dove un gruppo di amici, in un’assolata e noiosa estate, decide di partire alla ricerca del cadavere di un loro coetaneo scomparso nei boschi circostanti. Il viaggio sarà viatico per riflessioni, litigi, riappacificazioni  e confronti che porteranno i ragazzi a diventare grandi. Come detto, nella filmografia ispirata ai romanzi di King, il film di Reiner ricopre sicuramente un posto di primo piano, grazie soprattutto a una regia maniacalmente perfetta nei dettagli e alla scelta di dividere il film in precisi quadri che permettono allo spettatore di seguire passo dopo passo il percorso di crescita dei protagonisti: abbiamo l’attraversamento del ponte ferroviario che rappresenta il passaggio all’età adulta, abbiamo la notte passata nel bosco in cui i ragazzi sono costretti una volta per tutte ad affrontare le proprie paure, l’incontro-scontro con il famigerato Chopper (il cane strappa palle) che gli fa finalmente capire la differenza tra leggenda e realtà e infine il “duello” con i ragazzi più grandi per la difesa del cadavere in cui il vincere rappresenta la finale riabilitazione dei quattro.

Dalle stelle alle stalle e così un anno dopo ecco arrivare la seconda trasposizione del romanzo Le Notti di Salem per mano del regista Larry Cohen che rilegge la storia dei vampiri e della comunità di Jerusalem’s Lot in salsa nazista, dando vita a una pellicola mediocre che niente ha a che fare con il precedente film per la tv di Tobe Hooper sempre ispirato all’opera di King. Cohen trasforma infatti i vampiri in comuni studenti e cittadini che non hanno più paura dell’aglio e che si guardano allo specchio, mentre l’intera comunità diventerà una sorta di reincarnazione della follia nazista in cui è un ebreo scampato ai campi di sterminio ad aiutare i nostri protagonisti a cancellare dalle mappe la tranquilla cittadina. Flop clamoroso ai botteghini.

Dopo il meteorico passaggio di The Last Rung On the Ladder (mai visto in Italia) ancora una volta tratto dalla raccolta A volte ritornano (il racconto è L’ultimo piolo della scala), sempre nel 1987 è la volta del secondo capitolo di Creepshow: diretto da Michael Gornik già Direttore della Fotografia del primo film, scritto da Stephen King e sceneggiato da George A. Romero, è diviso in 3 episodi. Il protagonista del primo è una statua di un capo indiano che dopo la morte di due anziani coniugi di anima per fare giustizia; nel secondo due coppie in vacanza su un lago vengono a contatto con un mostruoso essere marino; infine, nel terzo episodio una donna dedita ai rapporti extraconiugali investe un autostoppista senza soccorrerlo, per pentirsene poco dopo quando il fantasma dell’uomo la tormenterà. Ideato e girato sulla falsariga del primo, è sicuramente una pellicola accettabile, curata e dagli effetti speciali sorprendenti, ma forse manca un po’ di originalità (soprattutto se paragonato al primo).

Il 1987 si chiude con L’Implacabile, primo film tratto dai romanzi scritti da Stephen King sotto lo pseudonimo di Richard Bachman (in questo caso L’uomo in fuga). Per la prima volta lo scrittore americano si misura con la fantascienza, ma il film diretto da Paul Michael Glaser è solo liberamente tratto dalla sua opera e racconta le vicissitudini del pilota di elicotteri Ben Richards (Arnold Schwarzenegger) che si rifiuta di sparare sui civili in un’America sotto la dittatura, finendo per essere imprigionato e usato per uno spettacolo televisivo di combattimenti simile alle vecchie lotte tra gladiatori. La qualità non è certo delle migliori (soprattutto nella versione doppiata in italiano), ma il film si pone come precursore di quella televisione dominata dai reality show in cui l’uomo diventa carne da macello alla mercé di pubblico e audience. Il lieto fine coi buoni che sconfiggono i cattivi è assicurato.
Questa prima cavalcata attraverso le opere di Stephen King al cinema, termina con Cimitero Vivente, diretto nel 1989 da Mary Lambert e tratto dal romanzo Pet Sematary, forse una delle opere più commoventi del maestro del brivido. Louis Creed è un medico che viene chiamato a prestare servizio in una piccola cittadina del Maine (ancora la provincia americana!) attraversata da una pericolosissima strada dove tutti i giorni sfrecciano veloci camion e tir di ogni tipo. La tragedia è così dietro l’angolo e dopo la morte del gatto di famiglia falciato da un’autocisterna, tocca al piccolo Gage finire sotto le ruote di un camion. Il dolore per Louis è troppo grande e così, grazie al suggerimento del vecchio vicino, decide di seppellire il figlio in un cimitero indiano lì vicino che, secondo le leggende, sarebbe un grado di resuscitare i morti. Ciò avviene, ma purtroppo per Louis e la sua famiglia, chi torna da quel cimitero non è più quello di prima…

Horror assolutamente apprezzabile, benedetto dallo stesso King che ne cura soggetto e sceneggiatura e appare anche in un cameo nelle vesti di un prete, Cimitero Vivente fa parte di quei film che riescono a portare sul grande schermo le stesse sensazioni e le stesse atmosfere contenute nei libri dello scrittore americano. Abbastanza duro da digerire a causa di immagini forti e di grande impatto emotivo, il film racchiude in sé un’angoscia raramente vista in altre pellicole del genere: la scarpetta del bimbo che rotola via sulla strada, la moglie di Louis condannata per anni a badare a una sorella vittima di una terribile malattia e il non riuscire ad accettare tragedie immani preferendo avere uno zombie in casa piuttosto che andare a piangere su una tomba, sottolineano la grandiosa capacità di King (e in questo caso della regista che gli rende giustizia) di andare a fondo dolorosamente in terribili drammi familiari che non possono portare ad altro se non alla morte.

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