martedì 26 luglio 2011

Omen vs Omen: Originale e Remake a confronto

Uscito nei cinema nel 1976, tre anni dopo L’esorcista di William Friedkin, che inaugurò al cinema il cosiddetto filone di “possessioni e demoniache presenze”, e magistralmente interpretato da Gregory Peck nel ruolo di un padre che scopre di dover combattere il proprio unico figlio, Omen: Il Presagio rappresenta ancora oggi un esempio di cinema horror, tanto che nel 2006 (con uscita nelle sale il giorno 06.06.06!) è stato riproposto nel remake diretto da John Moore.

Sfruttando la curiosa coincidenza numerica che simbolicamente rappresenta il famigerato 666 del Diavolo, e spinto da una bombardante campagna pubblicitaria fatta di presunti presagi di disgrazia per tutto il mondo e di un irrefrenabile tam tam su internet, il remake con Liev Schreiber e Julia Stiles nei panni di mamma e papà Thorn e con Mia Farrow in quelli della diabolica tata del piccolo Damien, è la classica e quanto mai di moda operazione commerciale che ispirandosi al passato riporta al presente paure e angosce ancora attuali. Sceneggiato da David Seltzer, lo stesso dell’originale nonché autore del libro ispiratore, il film ripercorre in tutto la strada dell’originale, perfino nei dialoghi, ma purtroppo regia e attori non sono gli stessi e la cosa traspare.

La regia scorrevole e pulita di Richard Donner, che faceva affidamento soprattutto sulla presenza scenica degli attori e sulla loro capacità di “bucare” lo schermo, viene sostituita da un John Moore che mira quasi esclusivamente a spaventare lo spettatore con improvvisi inserti orrorifici e un ritmo incalzante da videoclip.
Il tormentato Gregory Peck, all’epoca eroe positivo della “vecchia” Hollywood, viene sostituito da un bravo (ma poco espressivo) Liev Schreiber che non riesce a esprimere del tutto il tormento di questo padre combattuto tra l’amore per un figlio arrivato quasi miracolosamente e il dovere di impedire l’ascesa del diavolo sulla Terra. Ancora più marcata la differenza tra i personaggi femminili, con una imbarazzante Julia Stiles (pseudo-trentenne incazzata col mondo, nonostante una vita apparentemente perfetta) che fa rimpiangere l’algida ed elegante Lee Remick; e soprattutto con Mia Farrow nei panni di una sorta di Rosemary’s Baby ritardata davvero irritante ,che nulla ha da spartire con l’inquietante e lucida follia del personaggio interpretato nell’originale da Billie Whitelaw.

Ma ciò che davvero manca al remake è quell’aria di malsano e di malato che si respira in ogni sequenza dell’originale di Richard Donner: grazie alla splendida fotografia di Gilbert Taylor e all’inquietante accompagnamento musicale di Jerry Goldsmith, si ha costantemente la sensazione di trovarsi in un posto sbagliato, quasi che la fine del mondo sia già arrivata. Sensazioni che la moderna schiavitù dell’High Definition (evviva il bianco e nero!) non ha potuto trasmettere, nonostante la spettacolarità e il pathos di alcune sequenze.

Suggerimento: se non li avete visti, vedete prima l’originale e poi il remake…

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